Un'amica del gruppo Facebook mi ha fornito questo racconto, accaduto nel quartiere dell'Acquasanta. La ringrazio e vi auguro buona lettura...
"I racconti ru zù Anciluzzu"
Una volta, avere una mucca da latte significava avere una fonte di guadagno.
Dovete sapere che tempo fa Palermo pullulava di piccoli allevatori di bovini perché il latte essendo un alimento fondamentale per l’uomo è un liquido abbastanza redditizio e facilmente commerciabile e quindi faceva guadagnare bene chi aveva anche tre o quattro mucche. Mio padre era uno di questi piccoli allevatori e sino alla fine degli anni 50 guadagnava bene; ma poi ahimè, arrivò il boom economico ,il latte veniva portato nelle fabbriche del nord Italia e confezionato in bottiglie e contenitori di cartone e la gente trovò più pratico comprarlo nelle salumerie o nei supermercati, e il mestiere del lattaio andò a poco a poco scomparendo perché non si ricavava più niente e i soldi servivano più per le spese di mantenimento per il bestiame che per il sostentamento della famiglia. Mio padre esercitò tale mestiere fino alla fine degli anni 70 e poi vendette tutto e si ritirò in pensione. Molti poeti hanno scritto delle poesie intorno alla figura del lattaio descrivendolo “allegro” che portava il latte ai bambini, che al mattino allietava le strade con l’arrivo del trillo della bicicletta e i contenitori pieni di latte. Ma anche dipinti e raffigurazioni di scene campagnole, ritraevano il lattaio che tira il suo carretto pieno di bottiglie di latte. Ma non tutti sanno che non era una cosa semplice fare il lattaio perché era un mestiere pesante e faticoso che comportava anche dei sacrifici sia per la stessa persona ed anche per il resto della famiglia.
Mi ricordo che mio padre si alzava dal letto all’alba quando ancora in cielo non compariva la prima luce .La prima cosa che preparava era il caffè e non c’era sveglia migliore del brontolio della caffettiera che “sbuffava“ riempiendo e profumando l’aria con l’armonia del suo intenso aroma e che nel frattempo annunciava ufficialmente l’inizio di un nuovo giorno. Mi inseguiva fin sotto le coperte quel profumo e mi dava un dolce risveglio .Poi chiamavo mio padre e gli dicevo se me ne poteva portare una tazzina, ma poi non c’era neanche il bisogno di chiamarlo perché lui ce lo serviva tutte le mattine il caffè nel letto, senza bisogno di chiederglielo.
Prima di scendere le scale per recarsi al lavoro ci dava un bacio ciascuno e andava via. Ed io mentre ero ancora rannicchiata sotto le coperte sentivo il rumore dell’accensione della motoape e mio padre che andava via perché c’erano le mucche che lo aspettavano ed esigevano di mangiare e di essere munte. Era molto importante mungere bene le mucche, perché se del latte rimaneva nelle mammelle poteva provocare un'infiammazione, e allora bisognava chiamare il veterinario. Le mucche dovevano essere ben curate ,si dovevano cibare con erba fresca, fieno, semola e la “canigghia “ ovvero la crusca che si ricava dalla macinazione dei cereali.
Particolare attenzione dovevano ricevere quando partorivano il loro vitellino perché ci voleva l’aiuto della mano dell’uomo . E a proposito di questo, voglio entrare nel merito di questa storia che appunto l’ho voluta intitolare “Il carretto fantasma“.
Mio padre era un grande narratore ,non aveva fatto mai un giorno di scuola ma quando raccontava certi episodi sapeva catturare l’attenzione di noi figli che ci appassionavamo a tali storielle ed episodi che riguardavano soprattutto la sua vita. Una sera ci raccontò un episodio che ci turbò e ci stupì.
Era giovane e aveva circa 28 anni, quando una sera dovette coricarsi in stalla per via di una mucca che doveva partorire. Aveva alle sue dipendenze un ragazzo di 18 anni di nome Cesare, ma mio padre lo chiamava in maniera vezzeggiativa “Cesarino“ visto la giovane età. Erano le otto di sera e la mucca era agitata ma non dava ancora segni di essere pronta a partorire, quando mio padre disse a Cesarino di andare a cenare a casa e che quando poi ritornava se poteva portare dei ceri visto che la nottata a quanto sembrava si prospettava lunga e di candele ne era rimasta una sola.
Cesarino prese il carretto di legno trainato dall’asino e ritornò a casa per desinare. Mio padre aveva portato con se due pani, un po’ di olive e un fiasco di vino rosso. La candela mandava una luce fioca...
Stava per addentare il primo pane quando improvvisamente si sentì scoppiare fuori un temporale. Lampi e tuoni sinistri, pioggia, grandine, insomma il diluvio.
Ecco che improvvisamente si udì il cigolio di un carretto che andava verso la stalla. Impossibile che Cesarino fosse già di ritorno, erano appena passati dieci minuti dalla sua partenza! "Forse sta ritornando per il forte temporale che gli impedisce di tornare a casa ?" - pensò mio padre.
Il rumore intanto si faceva più intenso. "Ma è un carretto vuoto".
"Come facevi a sapere che si trattava di un carretto vuoto se non lo avevi visto ?" domandammo intelligentemente noi figli interrompendo il suo racconto. Nostro padre rispose :”E' facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto tanto fa rumore..."
Preoccupato, spalancò la porta della stalla e con suo grande stupore vide che regnava un assoluto silenzio, le stelle brillavano nel cielo e la notte era calma e serena! Non c’era alito di vento!!! "Quel silenzio mi piacque" - raccontò mio padre - “mi dava un senso di pace !”.
Santo cielo ! E allora cosa era stato un sogno ad occhi aperti? Quella tempesta, quei tuoni, il vento etc, da dove erano provenuti? E il cigolio del carretto ? "Il silenzio là fuori era così dolce che mi pareva sentirne il canto"...
Chiuse nuovamente la stalla e senza scomporsi si sedette per mangiare il suo pane. Mentre il silenzio regnava assoluto e dominava le tenebre, verso le ore 22, l’oscurità veniva squarciata dall’ululato impetuoso del vento che sembrava fosse un lupo e soffiava pesante, duro da sopportare e sembrava avanzasse a passi pesanti. Udì quindi il rumore delle ruote del carro e da uomo forte e coraggioso spalancò la porta e vide nuovamente che il silenzio faceva da padrone. Che fossero anime dannate ?!!!
“Ho capito” - pensò mio padre - ”stasera gli spiriti burloni vogliono giocare con me“. Ed allora gridando disse : ”Sentite qua... potete fare tutto il fracasso che volete, tanto non mi mettete paura“ e richiuse la porta.
Si calmarono ! “Ci vonnu l’agghi pu vicinu“. Verso le ore 22,30 arrivò Cesarino. Mio padre non fece parola dell’accaduto perché essendo molto giovane, Cesarino ne poteva rimanere impressionato. La notte trascorse lunga e tranquilla e verso le ore 4 del mattino la mucca Carolina (questo era il nome che le aveva dato mio padre ) decise finalmente di partorire il suo bel vitellino che mio padre battezzò “Ciccio“. Il vitellino all'inizio succhiava il latte della mamma, ma non lo beveva mai tutto. Percio' mio padre doveva mungerla fino in fondo, proprio per evitare che le venisse un'infiammazione. Alcune settimane dopo la nascita, il latte era diverso da quello di ogni giorno: era di consistenza piu' leggero e aveva un colore un po' piu' giallo che mio padre chiamava “colostro “ e che poi ci faceva la ricotta e il formaggio che noi figli mangiavamo con golosità !