mercoledì 26 settembre 2012

MALI ANTICHI E ANTICHI RIMEDI

[STORIE] Nel XVI° secolo a Palermo, inizia a prendere campo in maniera fin troppo evidente il fenomeno degli "usurai". E' alimentato a ragione dalle inumane condizioni di vita della povera gente, a cui non rimane, spesso, che rivolgersi a certi malfattori per garantire un minimo sostentamento alla famiglia. Per contrastare il fenomeno, in modo deciso e repentino, il Senato palermitano nel 1541 istituisce il "Monte della Pietà", una istituzione che agevola i bisognosi concedendo prestiti a tasso zero o al minimo di interessi. Per incentivare subito la sua attività, il Senato concede 50 onze di "fondo cassa"...
Nei primi tempi il Monte venne ospitato in alcune stanze del palazzo pretorio, ma dato che la folla che vi si accalcava quotidianamente diventava sempre più numerosa, si decise di trasferirlo in un intero palazzo che fu individuato nel quartiere della "Panneria", dove c'era un grande edificio, inizialmente edificato per ospitare una fabbrica di tessuti.
L'ufficio iniziò la sua attività nella nuova sede nel 1591, e man mano si dovette usare sempre più ambienti per la massa di poveri che vi accedeva. Addirittura nel 1636, per la comodità delle persone in fila che spesso stavano ore ed ore ammassate per i prestiti, fu costruita una fontana, alimentata da un pozzo di un vicino giardino, che dava sollievo, soprattutto d'estate...
Per voler dare un senso di cristianità e di carità religiosa a tutta la questione sui prestiti del Monte, si decise poi, nel corso del'600, di mettere sul muro dell'edificio, in alto, una immagine dell'Ecce Homo, ma tutta la costruzione subì modifiche architettoniche e strutturali, nonchè abbellimenti artistici, soprattutto nel XVIII° secolo... L'istituzione del Monte di Pietà, data la sua importanza, ed, ahimè, la sua popolarità, diede addirittura il nome all'intero quartiere.
All'inizio dell'800, re Ferdinando III, per venire incontro alle lamentele di chi non poteva accedere agli uffici per la gran massa di persone che c'era giornalmente, decise di creare una sorta di "succursale" nel palazzo Branciforte di proprietà dei principi di Butera, adiacente al complesso di S.Cita. Questi nuovi uffici vennero chiamati "Monte di S.Rosalia", inaugurati il 21 Dicembre del 1801... 
Nel 1848, durante la rivoluzione, gli uffici subirono danni e in parte furono incendiati, ma finita l'insurrezione, si ripristinarono in breve tempo. Furono poi definitivamente chiusi a causa dei bombardamenti del 1943, quando tutta la zona fu devastata dalle bombe...
Intorno al 1920, la sede del Monte venne accorpata alla Cassa di Risparmio, che ne detenne, per così dire, l'appalto, e la sua attività andò quindi avanti imperterrita sino all'inizio degli anni'80, per poi essere trasferita altrove...
Oggi è una attività in tono molto minore del passato, nonostante la crisi economica... Sappiamo che invece l'usura nacque molto prima del Monte, ed è tutt'ora fiorente e remunerativa per chi la "gestisce"... Al peggio non c'è mai fine...
L'edificio che ospitava il Monte di Pietà

lunedì 17 settembre 2012

L'ULTIMA CORSA

Ringrazio l'amico Giovanni Oliveri che ci regala questa commovente "lettera dall'aldilà" scritta idealmente da una sua parente venuta a mancare in periodo bellico. Buona lettura...
<< Mi chiamo Giuseppina e il 28 novembre di quest’anno compio 74 anni. Ricordo l’ultimo compleanno che mi hanno festeggiato, avevo otto anni e mia nonna tutta vestita di nero che mi ripeteva: “Questa l’ultima torta è! La guerra c’è, hai capito aah?” Io guardavo raggiante quella tortina fatta con la farina scura e per me bellissima, che la mia mamma aveva trovato in Ospedale dove lavorava persino una candelina, chissà come, non si trovava nulla in quel tempo. Vivevo al Borgo, cuore sano di Palermo. Nel mio quartiere ci si conosceva un po’ tutti, si viveva onestamente e ogni famiglia aveva qualcuno che lavorava e il pane non mancava. Poi scoppiò la guerra e mancò tutto. Ricordo che suonavano spesso le sirene, assordanti come le urla di un cane scannato vivo e poi scappavamo tutti nei rifugi, così com’eravamo, spesso con i pigiami e le ciabatte, ma non accadeva mai nulla e tornavamo a casa sfiniti e affamati. A Palermo la guerra era come se non ci fosse, si vedevano più militari in giro e tutto pareva girasse come sempre aveva girato. Io andavo in quarta elementare, per andare a scuola prendevo la Circolare Destra vicino a casa e mi lasciava cinque fermate più avanti, ma andavo anche a piedi quando tardava. Nonostante le difficoltà del periodo, i tram, i filobus e gli autobus circolavano con regolarità, anche perché le automobili erano poche e le avevano solo i ricchi.
Qualche volta era successo che al suono dell’allarme antiaereo l’autista aprisse le portine in mezzo alla strada e scappavamo tutti, ci infilavamo nei portoni, fuggivano anche autista e bigliettaio e a me veniva da ridere.
Tutto il quartiere del Borgo era vicino al Porto. Mia madre diceva che questo non andava bene perché se bombardavano davvero, le prime case a cadere sarebbero state quelle del Borgo, proprio perché vicino al Porto. Si stava interessando anche per sfollare in un paese dell’interno ma non seppi più nulla perché… un giorno di primavera morìi, si morìi, senza averne alcuna voglia. Era un bel giorno di Maggio, e quella mattina a scuola avevamo pregato la Madonna e cantato canzoni al Duce. Ad un tratto sentimmo un rumoraccio assordante, un tuonare continuato, non so spiegare. Il cielo sembrò farsi buio d’improvviso. Ebbi paura... Ci dissero : “Scappate, correte, andatevene a casa, dritti a casa, via via!!” Ed io che ero la prima del banco davanti la porta, afferrai il quaderno di calligrafia, cui tenevo tanto, feci le scale in un lampo e mi trovai nello sterrato davanti scuola. Mi passò sotto il naso la Circolare e d’istinto mi misi a correre come una lepre pur di prenderla. Appena salito il primo gradino, il sole di colpo sembrò spegnersi e volai dieci metri più avanti.
Ebbi subito una forte sensazione di calore e l’ultima immagine terrena che ricordo è di un raggio di sole penetrato tra i terribili aerei bombardieri che l’oscuravano e l’autista chinato sopra di me, le sue lacrime che mi bagnavano il viso, una forte corrente d’aria e il mio bel quaderno di calligrafia orribilmente sporcato di sangue. Non capivo che era il mio sangue, della mia testolina ormai quasi recisa da uno spezzone di bomba. Mi pianse tutto il Borgo, assieme ad altre sette o otto vittime.
Dopo una settimana la mia mamma, le mie due sorelle e mio fratello sfollarono in un paese in provincia di Agrigento. Mi portarono dei bellissimi fiori di campo e promisero, sul mio umile ma lindo sepolcro, che finita la guerra sarebbero tornati. Ma io ero già Spirito, anima candida che correva sfrenata nei Cieli del Paradiso. Oggi penso a quegli anni tremendi, a quanta gente comune, come me, ci lasciò la pelle…
Chi combatte ha la possibilità di salvarsi la vita in qualche modo, lottando anche disperatamente. La popolazione civile, inerme come una bambina di neanche nove anni, che può fare? Non si può difendere in nessun modo. Una bambina scappa, non può che scappare, correndo e basta. Dobbiamo far sì che non si ripetano più stermini, più guerre civili nel nostro Paese e in tutto il mondo. Sì lo so, è difficile, possiamo ispirare un breve racconto a qualcuno dei nostri discendenti, così rinfreschiamo la memoria di coloro che oggi vivono nella Terra . Mi dicono, infatti, che si cerca di minimizzare tutti gli orrori che la guerra e il nazifascismo provocarono. Oltre venti milioni di morti…
L’ Olocausto ? Un enorme montatura… Ci siamo allora decise, noi Anime innocenti, ad ispirare storie vere come questa, perché siano lette nelle scuole o raccontate dai nonni. Perché la memoria non svanisca e le Circolari di tutte le Città del mondo possano circolare sempre liberamente. >>
PS. La foto della bimba non è inerente alla storia raccontata da Giovanni Oliveri

lunedì 10 settembre 2012

1907 : LA TRAGEDIA DEI LATTARINI

Ho trovato su internet questo interessante resoconto di un episodio tragico e poco conosciuto della Palermo di inizio'900...
Sul mercato di via Grande Lattarini scendevano le prime ombre della sera del 19 dicembre 1907 e la gente, anche per l' approssimarsi del Natale, s'aggirava ancora numerosa tra i rotoli di corda, le candele, i cesti di spezie e le cento altre mercanzie che da secoli si vendevano nell' antico suk arabo. Un sereno viavai d' acquirenti o di semplici sfaccendati che padre Francesco Rizzo, arrivato nella mattinata da Cefalù, guardava distrattamente dal balcone del suo alberghetto. Erano da poco trascorse le cinque.
L'attenzione dell' anziano prete fu attratta da due uomini che, visibilmente agitati, trascinavano via dall'armeria Ajello una cassa nera che abbandonarono in mezzo alla strada, davanti al civico 35 dal quale evidentemente fuggivano. Don Rizzo non fece in tempo a seguirli con lo sguardo mentre correvano verso piazza della Borsa. Perché il rombo di un tuono spaventoso lo indusse guadare in alto. Per un istante. Quanto gli bastò per vedere che l' insegna dell' antistante pensione Santa Rosalia, il cui portone era accanto all'armeria, si sollevava in aria insieme al muro dell'edificio cui stava appesa. 
I ricordi di quell' attendibile testimone oculare dell' immane tragedia di Lattarini, così la definirono a tutta pagina i giornali dell'indomani, si fermarono a quel momento. Ma fu lo stesso istante in cui le vite di settantacinque sventurati, non tutti innocenti, furono stroncate dallo scoppio della dinamite e della polvere da sparo che imbottivano quella palazzina. Dall'ingrottato dell'armiere Ajello, sotto il pavimento della sua bottega, a una stanza interna del primo piano del medesimo stabile adibita a laboratorio di giochi pirotecnici. Mentre non fu mai del tutto escluso che contenesse esplosivi anche l'adiacente fondaco che della Santuzza portava anch' esso il nome. Ma quella sera il panico attanagliò l'intera città. Perché l'esplosione non si limitò a distruggere quasi completamente la decina d'edifici che costituivano la «stecca edilizia» meridionale di via Grande Lattarini. Mentre, infatti, una pioggia di sassi e di tizzoni ardenti si disseminava intorno per centinaia di metri, finirono in pezzi i vetri di tutte le case comprese tra piazza Sant' Anna e l' Argenteria Vecchia. E il suolo tremò dappertutto in città. Fino a piazza Castelnuovo e, a sud, sotto le casupole precariamente aggrappate alle rive malsane dell'Oreto. Fu così che i pur bravi cronisti palermitani dovettero ammettere di non aver trovato tutte le parole necessarie per descrivere adeguatamente la desolazione che si presentò ai loro occhi, a strage compiuta. Mentre i primi dei centocinquanta feriti - tra questi molti furono i passanti e i venditori ambulanti che si rifornivano nei negozi dei grossisti - cominciavano a essere ricoverati con mezzi di fortuna. 
Con l'auto dei Florio ma anche sulle scale a pioli dei generosi volontari. E fu inarrestabile la ressa dei palermitani che cercavano nelle inadeguate corsie degli ospedali dello Spasimo, della Concezione e di San Saverio gli amici e i parenti dati per dispersi. Solo all'alba successiva furono però evidenti le dimensioni della tragedia che commosse l'intera nazione. E che fece conoscere il nome dell'antico mercato anche ai lettori della stampa statunitense. Dato che tra le vittime ci furono parecchi dei nostri emigranti che in tutte le stagioni solevano alloggiare negli alberghetti di via Lattarini. Nell'attesa di sperimentare il sogno americano e in compagnia degli altri che dal porto di New York ritornavano più disperati di prima. 
Lavorarono sette giorni per recuperare i corpi sepolti sotto l'enorme cumulo delle macerie che l'esplosione scaraventò fin sotto le absidi della chiesa di Sant' Anna. Rendendo inagibile il limitrofo liceo Umberto I che era poco distante dal fondaco Santa Rosalia, anch'esso distrutto da una delle esplosioni successive a quella dell' armeria. Ciò che complicò l'esito delle indagini. I cui risultati non furono mai accettati dai parenti delle vittime del criminale episodio. Perché fu subito chiaro che non tutte le 75 vittime furono gli sventurati innocenti dei quali i giornali scrissero sull'onda della prima emozione. Tra i morti ci furono almeno tre persone che forse avrebbero potuto chiarire definitivamente le cause della strage adesso completamente dimenticata. L'armiere Ajello, anzitutto, del quale era risaputo che confezionava cartucce da caccia utilizzando certe nuove polveri «bianche», meno costose ma molto più potenti delle usuali, che egli deteneva in quantità inconcepibili. Né pare sia stata mai completamente chiarita la posizione del proprietario del fondaco Santa Rosalia. Un certo Abbate che fra i cadaveri dei carrettieri da lui alloggiati lasciò un tesoro in gioielli e denaro. Mentre fu sempre la voce pubblica ad accusare un oscuro personaggio. Tale Faja, anch'egli dilaniato dallo scoppio ma noto come colui che portava il tritolo di Ajello ai pescatori «bombaroli» della costa. 
Si trattò dunque di un episodio sicuramente infame. Che qui fu tuttavia rapidamente «rimosso» da quanti continuarono a commerciare in «mascoli» e ordigni esplosivi fatti in casa. Un dato reale, quest' ultimo, attestato anche in anni recenti dalle notizie sui vari traghetti arrivati da Napoli con micidiali casse piene di razzi e di «bombe di Maradona». Ciò che fu inoltre confermato, nel 1958, dal crollo d'un intero palazzo in via Pacini. Quando furono sette le vittime dell' esplosione di un deposito di petardi ancora scelleratamente inserito nel cuore della città. Nella quale c'è un'inveterata propensione a giustificare semplicisticamente qualsiasi irregolarità, come dimostra una dichiarazione su quella strage riportata dal Giornale di Sicilia: «Tasca di Cutò si riserva di presentare apposita mozione per la constatazione dell'insufficienza del funzionamento di certi servizi pubblici non certamente per colpa degli uomini».
Foto delle macerie dopo l'esplosione

martedì 4 settembre 2012

IL SALVATAGGIO DI UN SOLDATO

Anche questo racconto che segue mi è stato fornito da un'amica del gruppo facebook, una di quelle testimonianze di guerra drammatiche ma affascinanti. Buona lettura a tutti.
I racconti di zù Anciluzzu - 
("Chi salva un'anima è come se avesse salvato l'intero universo: è scritto nel Talmud")
Era stato annunciato l'armistizio.. I Tedeschi prima erano alleati dell’Italia, poi diventano nemici. I tedeschi, considerando gli italiani traditori, diventano i nuovi nemici. Comincia la Resistenza armata del popolo italiano contro i tedeschi. 
E’ il 9 settembre del'43, il generale Badoglio ha appena comunicato agli italiani che non si deve più sparare contro gli anglo-americani, ma che si può sparare a chiunque altro attacchi il territorio e gli abitanti. La decisione, improvvisa e alquanto nebbiosa (chi sono i nemici, adesso? E chi gli alleati?), provoca scompiglio in Italia ma anche tra i commilitoni in missione all’estero.
Poco tempo dopo mio padre si trovava al giardino a mungere le mucche quando improvvisamente vide entrare un soldato italiano con tanto di divisa, sudato e trafelato dalla folle corsa, affannato e ansimante, probabilmente un disertore,  chiese a mio padre se lo poteva nascondere perché era inseguito dai soldati tedeschi che lo volevano catturare.
"O figghiu miu santissimu"- rispose mio padre - "ma tu mi voi mettiri nei guai?... Ad ogni modo nasconditi qui e che Dio ce la mandi buona, a me e a te !”.
Lo nascose in mezzo alla mangiatoia dove gli animali mangiano l’erba e lo coprì di fieno ed erba a più non posso, poi si mise tranquillamente a continuare a mungere per non destare sospetti. Qualche persona, presumibilmente una spia o un simpatizzante dei tedeschi, aveva segnalato l’entrata in giardino del soldato. I tedeschi arrivarono di corsa gridando come belve inferocite ed entrarono nella stalla come fossero a casa loro puntando i fucili in direzione di mio padre che si sollevò dallo sgabello e alzò le mani in alto. I soldati iniziarono a parlare la loro lingua incomprensibile : “Dov’è soldaten italien ?“ Intanto mio padre voleva fare intendere di non aver visto nessuno e di non sapere niente.
"Tu helfen soldaten italien ! " Volevano dire che mio padre stava aiutando il soldato a nascondersi, e papà gesticolava facendo segno di no, che non era vero ! E così i soldati iniziarono la perquisizione, salirono sul fienile, guardarono sotto le pance delle vacche, dietro la stalla, salirono sul tetto, si avvicinarono alle mangiatoie e guardarono le mucche che in quel momento mangiavano tranquillamente... Qualcuno infilò il calcio del fucile dentro la paglia per fortuna senza nessun risultato. In quel momento stava agendo la mano di Dio !
Dopo un tempo che sembrava un eternità e il sudore freddo per il turbamento e la trepidazione, finalmente se ne andarono via !
Dopo qualche ora quando mio padre capì che le acque si erano calmate e i tedeschi se ne erano andati definitivamente, fece uscire il soldato pallido come un panno bianco, gli fece bere una ciotola di latte e lo chiuse nella stalla, dicendogli di stare tranquillo perché doveva correre a casa per prendere degli indumenti e farlo cambiare in modo da togliersi quella divisa italiana. Ebbene quella volta mio padre salvò la vita a questo giovane. La divisa fu gettata nel fuoco e bruciata e il ragazzo se ne andò verso il suo destino. Inutile dire quanti furono i ringraziamenti.
Mio padre non seppe mai il nome di quel ragazzo, non ci fu il tempo per chiederglielo e così di lui non riuscì a sapere mai più niente. Con gli anni pensava spesso a quel giovane soldato e avrebbe voluto sapere qualcosa di lui e di come gli era andata a finire, avrebbe avuto piacere nel  rivederlo e commentare assieme quel momento per tutti e due tragico, anche perché poteva finire in maniera funesta per entrambi, l’uno perché era sfuggito alla cattura e l’altro per averlo nascosto !
Insomma mio padre quella volta rischiò la fucilazione !
Il protagonista della storia - 1
Il protagonista della storia - 2