Ho trovato su internet questo interessante resoconto di un episodio tragico e poco conosciuto della Palermo di inizio'900...
Sul mercato di via Grande Lattarini scendevano le prime ombre della sera del 19 dicembre 1907 e la gente, anche per l' approssimarsi del Natale, s'aggirava ancora numerosa tra i rotoli di corda, le candele, i cesti di spezie e le cento altre mercanzie che da secoli si vendevano nell' antico suk arabo. Un sereno viavai d' acquirenti o di semplici sfaccendati che padre Francesco Rizzo, arrivato nella mattinata da Cefalù, guardava distrattamente dal balcone del suo alberghetto. Erano da poco trascorse le cinque.
L'attenzione dell' anziano prete fu attratta da due uomini che, visibilmente agitati, trascinavano via dall'armeria Ajello una cassa nera che abbandonarono in mezzo alla strada, davanti al civico 35 dal quale evidentemente fuggivano. Don Rizzo non fece in tempo a seguirli con lo sguardo mentre correvano verso piazza della Borsa. Perché il rombo di un tuono spaventoso lo indusse guadare in alto. Per un istante. Quanto gli bastò per vedere che l' insegna dell' antistante pensione Santa Rosalia, il cui portone era accanto all'armeria, si sollevava in aria insieme al muro dell'edificio cui stava appesa.
L'attenzione dell' anziano prete fu attratta da due uomini che, visibilmente agitati, trascinavano via dall'armeria Ajello una cassa nera che abbandonarono in mezzo alla strada, davanti al civico 35 dal quale evidentemente fuggivano. Don Rizzo non fece in tempo a seguirli con lo sguardo mentre correvano verso piazza della Borsa. Perché il rombo di un tuono spaventoso lo indusse guadare in alto. Per un istante. Quanto gli bastò per vedere che l' insegna dell' antistante pensione Santa Rosalia, il cui portone era accanto all'armeria, si sollevava in aria insieme al muro dell'edificio cui stava appesa.
I ricordi di quell' attendibile testimone oculare dell' immane tragedia di Lattarini, così la definirono a tutta pagina i giornali dell'indomani, si fermarono a quel momento. Ma fu lo stesso istante in cui le vite di settantacinque sventurati, non tutti innocenti, furono stroncate dallo scoppio della dinamite e della polvere da sparo che imbottivano quella palazzina. Dall'ingrottato dell'armiere Ajello, sotto il pavimento della sua bottega, a una stanza interna del primo piano del medesimo stabile adibita a laboratorio di giochi pirotecnici. Mentre non fu mai del tutto escluso che contenesse esplosivi anche l'adiacente fondaco che della Santuzza portava anch' esso il nome. Ma quella sera il panico attanagliò l'intera città. Perché l'esplosione non si limitò a distruggere quasi completamente la decina d'edifici che costituivano la «stecca edilizia» meridionale di via Grande Lattarini. Mentre, infatti, una pioggia di sassi e di tizzoni ardenti si disseminava intorno per centinaia di metri, finirono in pezzi i vetri di tutte le case comprese tra piazza Sant' Anna e l' Argenteria Vecchia. E il suolo tremò dappertutto in città. Fino a piazza Castelnuovo e, a sud, sotto le casupole precariamente aggrappate alle rive malsane dell'Oreto. Fu così che i pur bravi cronisti palermitani dovettero ammettere di non aver trovato tutte le parole necessarie per descrivere adeguatamente la desolazione che si presentò ai loro occhi, a strage compiuta. Mentre i primi dei centocinquanta feriti - tra questi molti furono i passanti e i venditori ambulanti che si rifornivano nei negozi dei grossisti - cominciavano a essere ricoverati con mezzi di fortuna.
Con l'auto dei Florio ma anche sulle scale a pioli dei generosi volontari. E fu inarrestabile la ressa dei palermitani che cercavano nelle inadeguate corsie degli ospedali dello Spasimo, della Concezione e di San Saverio gli amici e i parenti dati per dispersi. Solo all'alba successiva furono però evidenti le dimensioni della tragedia che commosse l'intera nazione. E che fece conoscere il nome dell'antico mercato anche ai lettori della stampa statunitense. Dato che tra le vittime ci furono parecchi dei nostri emigranti che in tutte le stagioni solevano alloggiare negli alberghetti di via Lattarini. Nell'attesa di sperimentare il sogno americano e in compagnia degli altri che dal porto di New York ritornavano più disperati di prima.
Lavorarono sette giorni per recuperare i corpi sepolti sotto l'enorme cumulo delle macerie che l'esplosione scaraventò fin sotto le absidi della chiesa di Sant' Anna. Rendendo inagibile il limitrofo liceo Umberto I che era poco distante dal fondaco Santa Rosalia, anch'esso distrutto da una delle esplosioni successive a quella dell' armeria. Ciò che complicò l'esito delle indagini. I cui risultati non furono mai accettati dai parenti delle vittime del criminale episodio. Perché fu subito chiaro che non tutte le 75 vittime furono gli sventurati innocenti dei quali i giornali scrissero sull'onda della prima emozione. Tra i morti ci furono almeno tre persone che forse avrebbero potuto chiarire definitivamente le cause della strage adesso completamente dimenticata. L'armiere Ajello, anzitutto, del quale era risaputo che confezionava cartucce da caccia utilizzando certe nuove polveri «bianche», meno costose ma molto più potenti delle usuali, che egli deteneva in quantità inconcepibili. Né pare sia stata mai completamente chiarita la posizione del proprietario del fondaco Santa Rosalia. Un certo Abbate che fra i cadaveri dei carrettieri da lui alloggiati lasciò un tesoro in gioielli e denaro. Mentre fu sempre la voce pubblica ad accusare un oscuro personaggio. Tale Faja, anch'egli dilaniato dallo scoppio ma noto come colui che portava il tritolo di Ajello ai pescatori «bombaroli» della costa.
Si trattò dunque di un episodio sicuramente infame. Che qui fu tuttavia rapidamente «rimosso» da quanti continuarono a commerciare in «mascoli» e ordigni esplosivi fatti in casa. Un dato reale, quest' ultimo, attestato anche in anni recenti dalle notizie sui vari traghetti arrivati da Napoli con micidiali casse piene di razzi e di «bombe di Maradona». Ciò che fu inoltre confermato, nel 1958, dal crollo d'un intero palazzo in via Pacini. Quando furono sette le vittime dell' esplosione di un deposito di petardi ancora scelleratamente inserito nel cuore della città. Nella quale c'è un'inveterata propensione a giustificare semplicisticamente qualsiasi irregolarità, come dimostra una dichiarazione su quella strage riportata dal Giornale di Sicilia: «Tasca di Cutò si riserva di presentare apposita mozione per la constatazione dell'insufficienza del funzionamento di certi servizi pubblici non certamente per colpa degli uomini».
Foto delle macerie dopo l'esplosione |
Questo è un esempio tipico di tragedia umana causata colpevolmente dalla mano dell'uomo, dalla incoscenza e dalla immensa avidita' !
RispondiEliminaPerchè come dice lo scrittore Roberto Alaimo :<>.Palermo è tutta da scoprire e chissà quante e quante storie ignote ci saranno che noi ancora non ne siamo a conoscenza
RispondiEliminaPerché Palermo è come una cipolla, la si può scoprire togliendo strato dopo strato, e non è detto che il cuore sia meglio della buccia, ma il gusto della novità rimane intatto. Roberto Alaimo scrittore
EliminaNon era a conoscenza di questa storia, che devo dire essere molto truce e purtroppo attuale. Mi domandavo però, che ruolo avessero i due uomini che padre Rizzo vide fuggire.Peccato che non ci siano altre foto che testimoniano questo episodio.
RispondiEliminaè davvero un peccato che non ci sino testimonianze oltre quella del prete,non per sfiduciarlo ma un testimone oculare è troppo poco.
RispondiEliminaChe sia stato incidente o attentato terroristico è fondamentale saperlo perchè in generale le notizie tenute piu al buoi sono quelle che hanno scritto la storia d'Italia e di Palermo.
Bisogna inserire una targa alle vittime della tragedia
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