[STORIE] Quando nella seconda metà del‘700 in Europa imperversava l’Illuminismo e nelle capitali si cominciava a parlare di rivoluzioni culturali, parità dell’essere umano, e si cominciava a legiferare bandendo editti a favore di una maggiore umanità nel trattamento degli schiavi, a Palermo, autodefinita capitale, tutto andava controcorrente : lo schiavo era lasciato all’arbitrio più totale del padrone.
Per i semidei panormiti, non era importante avere un numero esoso di servitù schiavizzata ma bastava averne anche una quantità limitata su cui avere un dominio totale. Se ne teneva un rigido censimento, infatti già nel 1565 se ne contavano 645, fra cui 118 bianchi, 115 olivastri e 223 negri provenienti dalla Nigeria, tutti di sesso maschile idonei alla difesa delle mura contro i possibili assalti del turco offensore. Pari era la quantità di schiave che si mischiavano con la servitù autoctona.
Per i nobili palermitani gli schiavi erano considerati alla stregua di bestie da essere utilizzati per soddisfare le voglie più fantastiche e perverse ! E non veniva considerato che fossero dei poveri disgraziati strappati alle loro case o fatti prigioni durante i conflitti marinari contro i pirati barbareschi.
Se Candia era il mercato degli schiavi per l’Oriente, Palermo era il fiorente mercato per l’Occidente del bacino Mediterraneo. Ma chi erano i clienti più interessati ? Facile a dirsi e definibili, secondo gli usi che si intendevano fare !
I Vicerè, a cui servivano braccia per i remi delle galere... Quindi le caratteristiche fenotipiche d’obbligo erano robustezza e forza... I nobili preferivano schiavette giovani e di primo pelo, che potessero essere utili a letto e per i servizi più convenzionali. In breve tempo a Palermo cominciarono, chissà perchè, a gironzolare giovanottini in livrea, mulatti...
Gli stessi semidei panormiti non esitavano ad acquistare anche bimbetti, poiché la casta non disdegnava la pedofilia...
Preti ed ecclesiastici in genere per le loro esigenze preferivano maschietti molto giovani, effeminati e bellocci. Li avrebbero sodomizzati a loro piacimento senza incorrere in scomode gravidanze. Ma dato che la sodomia riguardava piuttosto da vicino il clero, l’Inquisizione non poteva colpirla a morte. Ci pensò l’ingenuotto Argisto Giuffredi, stilando negli “Avvertimenti Cristiani”, i toccasana per la lotta contro la pedofilia e la sodomia : “Ricordatevi di non tenere mai in casa giovani di migliore aspetto di voi, né tenete mai paggi di bella vista, né avendo paggi o schiavotti gli fate dormir mai con altri servitori, ma separati sempre, e ciò per levar ogni occasione non solo di mal fare, ma di mal pensare ancora”.
Ma valli a capire questi nostri antenati : si sentivano illuminati, ma facevano porcherie da bestiole...
Per i semidei panormiti, non era importante avere un numero esoso di servitù schiavizzata ma bastava averne anche una quantità limitata su cui avere un dominio totale. Se ne teneva un rigido censimento, infatti già nel 1565 se ne contavano 645, fra cui 118 bianchi, 115 olivastri e 223 negri provenienti dalla Nigeria, tutti di sesso maschile idonei alla difesa delle mura contro i possibili assalti del turco offensore. Pari era la quantità di schiave che si mischiavano con la servitù autoctona.
Per i nobili palermitani gli schiavi erano considerati alla stregua di bestie da essere utilizzati per soddisfare le voglie più fantastiche e perverse ! E non veniva considerato che fossero dei poveri disgraziati strappati alle loro case o fatti prigioni durante i conflitti marinari contro i pirati barbareschi.
Se Candia era il mercato degli schiavi per l’Oriente, Palermo era il fiorente mercato per l’Occidente del bacino Mediterraneo. Ma chi erano i clienti più interessati ? Facile a dirsi e definibili, secondo gli usi che si intendevano fare !
I Vicerè, a cui servivano braccia per i remi delle galere... Quindi le caratteristiche fenotipiche d’obbligo erano robustezza e forza... I nobili preferivano schiavette giovani e di primo pelo, che potessero essere utili a letto e per i servizi più convenzionali. In breve tempo a Palermo cominciarono, chissà perchè, a gironzolare giovanottini in livrea, mulatti...
Gli stessi semidei panormiti non esitavano ad acquistare anche bimbetti, poiché la casta non disdegnava la pedofilia...
Preti ed ecclesiastici in genere per le loro esigenze preferivano maschietti molto giovani, effeminati e bellocci. Li avrebbero sodomizzati a loro piacimento senza incorrere in scomode gravidanze. Ma dato che la sodomia riguardava piuttosto da vicino il clero, l’Inquisizione non poteva colpirla a morte. Ci pensò l’ingenuotto Argisto Giuffredi, stilando negli “Avvertimenti Cristiani”, i toccasana per la lotta contro la pedofilia e la sodomia : “Ricordatevi di non tenere mai in casa giovani di migliore aspetto di voi, né tenete mai paggi di bella vista, né avendo paggi o schiavotti gli fate dormir mai con altri servitori, ma separati sempre, e ciò per levar ogni occasione non solo di mal fare, ma di mal pensare ancora”.
Ma valli a capire questi nostri antenati : si sentivano illuminati, ma facevano porcherie da bestiole...
E dopo aver gustato qualcosa sulle stramberie sessuali dei nostri antenati panormiti, non ci dobbiamo dimenticare di altro a cui non sapevano rinunziare... Fermo restando il concetto che il ceto patrizio palermitano fosse convinto di appartenere alla classe dei semidei, e che coloro i quali orbitavano loro intorno, fossero soltanto dei piccoli satiri, la casta coltivò il vizietto del lusso da quando Palermo divenne sede vicereale.
I nobili, volendo competere con la corte, si trasferirono dal feudo alla città, acquisendo la proprietà polverizzata ed edificando magnifici dimore, austere nelle loro facciate quanto splendide all’interno, con scalinate avvolgenti, saloni ridondanti di quadri, stupende tappezzerie e preziosi lampadari. Ma quanto costarono questi capricci ?? Tanto, tantissimo !!!!
I nostri nobili antenati non si indebitarono soltanto per edificare le casette cittadine, ma anche per la realizzazione di bagli, casene e ville nella Piana dei Colli ed a Bagheria, chiaramente ben fornite di tutti i comfort dell’epoca, dalle camere dello scirocco ai bagni turchi, e magari fornite da celle in cava dedicate ai servi riottosi.
Le grandi magioni, espressione spudorata di lusso da ostentare, avevano anche funzione di teatro a cui poteva accedere il popolano, ma solo in zone ben delimitate negli atri, sugli scaloni e negli spazi pubblici di fronte gli edifici. Proprio lì nelle ricorrenze private, matrimoni, fidanzamenti e battesimi, il signore faceva allestire gazebi, chioschetti e tavolate piene di ogni grazia di Dio, per soddisfare il palato del volgo e ma anche l’insaziabile voglia di ostentare la propria magnificenza.
Lo stesso trattamento veniva riservato alle ricorrenze ufficiali, per la nascita di un erede reale, nei periodi carnevaleschi o pasquali, quando il semidio e famiglia assieme agli ospiti lanciavano dai panciuti balconi dolcetti e confetture sulla plebe affamata, godendo delle risse e delle resse fra poveracci dei piani bassi... Tali lussi comportavano sforzi economici che portavano all’indebitamento più profondo. Per rispettare lo stile di vita in cui si erano impelagate, le più illustri famiglie dovevano mantenere almeno 80 persone nelle magioni cittadine, fra cui servi, creati e schiavi, non considerando il nugolo di massari, campieri, gabellieri ed amministratori sparsi nei propri feudi.
I nobili palermitani restarono comunque dei maldestri feudatari con poche iniziative di sopravvivenza, e difficilmente si “addobbarono” per fare cassa. Alcuni di loro si dedicarono a un nuovo ma vecchio mestiere, inventandosi pirati .
Tutto andò a gonfie vele nel 1778 per il principe di Furnari, che acquistò uno scampavia di seconda mano, il “Gesù, Giuseppe e Maria”, lo armò, dandolo in gestione ad un pirata di professione, tale Giuseppe Valentino che, con le sue scorrerie garantì al suo datore di lavoro altre ricchezze da scialacquare !!!
Ma un altro nostro nobile concittadino, il principe della Garita, prese alla lettera le sue origini guerresche e volendo strafare, non affidandosi alle mani di un pirata esperto, ne vestì personalmente i panni mettendosi al comando di una goletta e veleggiando da se. Garita non fu tanto fortunato quanto il Furnari, infatti al primo arrembaggio fu fatto prigioniero dal turco col quale fu costretto a mercanteggiare la propria libertà, coivolgendo quale garante del pagamento lo stesso sovrano Borbone... Ciò fu cagione di ulteriore sfortuna per il povero principe, che non avrebbe voluto ottemperare alla parola data al pascià turco, ma sua maestà lo obbligò ad onorare il debito, costringendolo ad ipotecare i propri beni con la minaccia di uno sconveniente soggiorno coattivo presso il Castello a Mare...
Quindi tutto si concluse in “malo modo” per il coronato semidio, sentendosi risuonare nelle proprie orecchie il più celebre ritornello palermitano : “Curnutu e vastunatu !!!!!”
I nobili, volendo competere con la corte, si trasferirono dal feudo alla città, acquisendo la proprietà polverizzata ed edificando magnifici dimore, austere nelle loro facciate quanto splendide all’interno, con scalinate avvolgenti, saloni ridondanti di quadri, stupende tappezzerie e preziosi lampadari. Ma quanto costarono questi capricci ?? Tanto, tantissimo !!!!
I nostri nobili antenati non si indebitarono soltanto per edificare le casette cittadine, ma anche per la realizzazione di bagli, casene e ville nella Piana dei Colli ed a Bagheria, chiaramente ben fornite di tutti i comfort dell’epoca, dalle camere dello scirocco ai bagni turchi, e magari fornite da celle in cava dedicate ai servi riottosi.
Le grandi magioni, espressione spudorata di lusso da ostentare, avevano anche funzione di teatro a cui poteva accedere il popolano, ma solo in zone ben delimitate negli atri, sugli scaloni e negli spazi pubblici di fronte gli edifici. Proprio lì nelle ricorrenze private, matrimoni, fidanzamenti e battesimi, il signore faceva allestire gazebi, chioschetti e tavolate piene di ogni grazia di Dio, per soddisfare il palato del volgo e ma anche l’insaziabile voglia di ostentare la propria magnificenza.
Lo stesso trattamento veniva riservato alle ricorrenze ufficiali, per la nascita di un erede reale, nei periodi carnevaleschi o pasquali, quando il semidio e famiglia assieme agli ospiti lanciavano dai panciuti balconi dolcetti e confetture sulla plebe affamata, godendo delle risse e delle resse fra poveracci dei piani bassi... Tali lussi comportavano sforzi economici che portavano all’indebitamento più profondo. Per rispettare lo stile di vita in cui si erano impelagate, le più illustri famiglie dovevano mantenere almeno 80 persone nelle magioni cittadine, fra cui servi, creati e schiavi, non considerando il nugolo di massari, campieri, gabellieri ed amministratori sparsi nei propri feudi.
I nobili palermitani restarono comunque dei maldestri feudatari con poche iniziative di sopravvivenza, e difficilmente si “addobbarono” per fare cassa. Alcuni di loro si dedicarono a un nuovo ma vecchio mestiere, inventandosi pirati .
Tutto andò a gonfie vele nel 1778 per il principe di Furnari, che acquistò uno scampavia di seconda mano, il “Gesù, Giuseppe e Maria”, lo armò, dandolo in gestione ad un pirata di professione, tale Giuseppe Valentino che, con le sue scorrerie garantì al suo datore di lavoro altre ricchezze da scialacquare !!!
Ma un altro nostro nobile concittadino, il principe della Garita, prese alla lettera le sue origini guerresche e volendo strafare, non affidandosi alle mani di un pirata esperto, ne vestì personalmente i panni mettendosi al comando di una goletta e veleggiando da se. Garita non fu tanto fortunato quanto il Furnari, infatti al primo arrembaggio fu fatto prigioniero dal turco col quale fu costretto a mercanteggiare la propria libertà, coivolgendo quale garante del pagamento lo stesso sovrano Borbone... Ciò fu cagione di ulteriore sfortuna per il povero principe, che non avrebbe voluto ottemperare alla parola data al pascià turco, ma sua maestà lo obbligò ad onorare il debito, costringendolo ad ipotecare i propri beni con la minaccia di uno sconveniente soggiorno coattivo presso il Castello a Mare...
Quindi tutto si concluse in “malo modo” per il coronato semidio, sentendosi risuonare nelle proprie orecchie il più celebre ritornello palermitano : “Curnutu e vastunatu !!!!!”