sabato 31 maggio 2014

PALERMITANDO

Era ora. Il secondo libro di racconti e storie palermitane. L'ideale seguito di "Palermo nascosta" del 2012.
Arriva a breve nelle librerie cittadine grazie alla casa editrice LEIMA, nuova e coraggiosa realtà locale.
"Palermitando" è un ideale percorso di un viaggiatore che entra in città dalle zone periferiche, si addentra per i quartieri storici, fino a terminare il suo itinerario nel cuore di Palermo: i tre mercati popolari.
Passeggiando raccoglie storie e vicende di gente comune, che racconta i propri ricordi con la solita ironia palermitana. Storie divertenti, ma anche violente. Storie misteriose alternate a fatti di vita quotidiana.
Anche questo libro, come il precedente, è suddiviso in tre sezioni: "Anime inquiete di periferia", "Racconti dei quartieri antichi" e "Drammi e gioie nei mercati popolari". Più un racconto finale, molto toccante e commovente, che si diatacca un pò dal resto del contesto. Le storie sono brevi, taglienti e molto dirette.
Tra i titoli, "Il figlio del lupo", "Il licantropo dell'Acquasanta", "L'ira del falegname", "Chi è quell'uomo?", "La leggenda di Casanova", "La notte dell'apocalisse".
La prefazione è stata scritta dall'attore palermitano Carmelo Galati ("Il capo dei capi", "La siciliana ribelle", "Il giovane Montalbano", "Braccialetti rossi").
Ci sono tutti gli ingredienti, insomma, per una lettura rilassante? Io credo di si...
Appuntamento il 7 giugno alle 17.00 al festival "Una Marina di Libri" per la presentazione ufficiale.
La copertina

giovedì 13 marzo 2014

105 ANNI DOPO, ANCORA UN MISTERO

Si è svolta a Palermo la commemorazione del poliziotto italo-americano Joe Petrosino, ucciso a piazza Marina il 12 marzo del 1909. Da allora si è detto e scritto tanto ma la verità su mandanti ed esecutori del delitto non è mai venuta fuori.
Supposizioni, indagini, teorie, sospetti ma niente di concreto. Gli assassini la fecero franca.
In occasione del 105° anniversario, alla cerimonia di piazza Marina erano presenti, tra autorità varie locali, comunali e della polizia di stato, anche il sindaco di Padula (SA), paesino dove il poliziotto nacque nel 1860, ed esponenti della Fondazione Petrosino, nonchè responsabili della casa-museo di Padula. Ovviamente, non poteva mancare qualche familiare del detective, ossia la famiglia Petrosino da Padula, col pronipote Nino Melito Petrosino in testa. Persona cortese e affabile, ha avuto un sorriso e una battuta per tutti, compreso per chi scrive questo post. Così come la moglie di Nino e la figlia, con le quali si commentava l'errore dell'amministrazione comunale nel porre la lapide in un luogo diverso da quello in cui cadde Joe. Ma la svista è dovuta all'errore fatto negli anni sessanta quando ci fu la nuova disposizione dei mattoni che circondano la villa e fanno da base all'inferriata. In alcune basole, le vecchie croci, assieme alla scritta "PETROSINO", non furono rimesse dagli operai nell'ordine precedente.
Ciò ha forse ingannato pure l'allora assessore che fece porre la lapide di fronte a Palazzo Steri, sbagliando lato del giardino.
Poi ho personalmente raccontato a Nino del singolare episodio che accadde l'anno scorso, quando il gruppo Palermo nascosta effettuò un percorso relativo alle ultime tappe della vita di Joe. 
Chi era presente può ricordare che descrivendo l'uscita dal Caffè Oreto, luogo dove Joe aveva cenato, i lampioni antichi di piazza Marina si spensero improvvisamente (per un guasto o forse spenti da qualcuno apposta). La stessa cosa accadde durante il nostro percorso, in modo improvviso e inatteso e che suscitò un piccolo brivido sulla schiena di qualcuno. Il più simpatico commento a questo accaduto lo fa proprio Nino, pronipote del detective: "E chill'è stato o zio Joe, sicuramente...".
Come a sottolineare una presenza ancora viva di Petrosino sul luogo dove perse la vita.
Onore a questo poliziotto che ha dato la vita per la città di Palermo (e non solo), e come lui, tanti altri caduti dopo. Di seguito qualche foto della cerimonia.
Stendardo dell'Associazione Petrosino
Nino Melito Petrosino, pronipote di Joe, col sindaco di Padula
Il luogo della cerimonia
La responsabile della casa museo di Padula
Autorità varie e Nino Petrosino
Il momento della commemorazione
...E per finire, anch'io col pronipote di Joe Petrosino




lunedì 10 febbraio 2014

UNA DOMENICA MATTINA TRA ESOTERISMO E LEGGENDA

L'ultima passeggiata del gruppo "Palermo nascosta" ha avuto come argomento dominante le gesta giovanili di un personaggio, tale Giuseppe Balsamo, nato a Palermo il 2 giugno del 1743 in uno stretto vicolo dell'Albergheria, che ha legato la sua leggendaria vita all'esoterismo e al girovagare per le corti dei sovrani europei in cerca di fama e fortuna. Spesso per esoterismo, soprattutto nella nostra città, si è inteso tutto ciò che è attorniato da mistero, dall'occulto. In realtà l'esoterismo è lo studio di materie che hanno a che fare con la natura umana. Dire però "esoterico" è luogo comune di immaginario e magari un pò macabro. Nato nel vicolo che dall'ottocento in poi portò il suo nomignolo, il conte Cagliostro, da ragazzino ereditò, per così dire, l'arte del padre, ovvero quella di sbarcare il lunario con piccoli imbrogli e truffe. Morto il genitore, il giovane Balsamo si dedicò alla vendita di biglietti di teatro falsi (biglietti dell'allora teatro di S.Lucia, nell'odierna piazza Bellini) oppure, cosa che gli procurò guai seri, alla vendita di gioielli falsi ai danni di un ignaro e aggiungerei poco oculato orefice. A causa di una denuncia, Giuseppe Balsamo dovette fuggire da Palermo e iniziò a girovagare per l'Italia alla ricerca della sua dimensione, spacciandosi già da allora per provetto alchimista o per medico. Tornato dopo sei anni a Palermo, venne arrestato per la vecchia vicenda dell'orefice e imprigionato nelle carceri di palazzo Marchesi, un edificio di fine quattrocento che si trova nell'odierna piazzetta dei SS. Quaranta Martiri al Casalotto (a due passi da via Maqueda, nell'ex quartiere ebraico).
Liberato dopo qualche tempo, Balsamo andò per sempre via da Palermo e costruì la sua fama di avventuriero legata all'esoterismo, presso le più importanti corti europee, divenendo amico di tanti sovrani e personaggi potenti dell'epoca. A Londra entrò a far parte della massoneria, assumendo il titolo di Conte di Cagliostro. La sua figura, tutt'oggi oggetto di studie ricerche, subirà un danno a Parigi, nei mesi che precedono la rivoluzione francese, per il coinvolgimento nel cosiddetto "scandalo della collana", una truffa compiuta ai danni della regina Maria Antonietta, e che solo l'amicizia con alcuni potenti vicini al sovrano Luigi XVI riuscirà a fargli evitare la ghigliottina. Cagliostro abbandonerà anche Parigi e inizierà a girare di nuovo per l'Europa. Il drammaturgo Goethe, anch'egli incuriosito dalla fama di quest'uomo, verrà a conoscere la sua umile famiglia a Palermo, spacciandosi per un viaggiatore inglese che porta notizie alla madre di Cagliostro, donna Felicia. La famiglia del Balsamo, però, non abitava più all'Albergheria, ma alla Vucciria, probabilmente nel vicolo Terra della Mosche.
Cagliostro tornerà poi definitivamente in Italia, a Roma. Qui, venne denunciato per eresia dalla moglie, che lo fece incarcerare dalle autorità pontificie. Trasferito poi nella fortezza di S.Leo, presso Rimini, questo singolare personaggio morirà di stenti e di follia, nel 1795.
In definitiva: chi fu realmente questo nostro concittadino? Forse solo e semplicemente un fenomenale imbroglione con la voglia di vivere una vita lussuosa e avventurosa...
Un grazie di cuore ai numerosissimi partecipanti all'itinerario sulle tracce di Cagliostro.
Di seguito, come sempre, un piccolo resoconto fotografico del percorso.
Un introduzione sul concetto di "esoterico" davanti alla chiesa di S.Cataldo
Il gruppo all'appuntamento a piazza Bellini
Il vicolo conte Cagliostro, tra l'Albergheria e Ballarò
Il gruppo invade il vicolo dove nacque Cagliostro
Il portone di palazzo Marchesi
A piazza SS.Quaranta Martiri al Casalotto, davanti a pal.Marchesi
L'ultima tappa, davanti all'odierno teatro Bellini
Il teatro Bellini, all'epoca di Cagliostro, teatro S.Lucia

lunedì 13 gennaio 2014

UN DRAMMATICO ANNIVERSARIO: IL TERREMOTO DEL'68

Una testimonianza di chi, bambina, visse i terribili momenti del terremoto del Belice, quello che sconquassò mezza Sicilia. Ringrazio Cristina che ha scritto questa bella pagina e invito tutti voi alla lettura.
 
Uno dei ricordi più terribili della mia infanzia: nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, la nostra madre terra divenne irrequieta poiché un violento evento sismico di magnitudo 6,4 della scala Richter colpì le provincie di Trapani, Agrigento e Palermo. Furono rasi al suolo paesi come Gibellina e Poggioreale, nonchè l'intera valle del Belice. Seguirono altre tremende scosse, violentissime, che fecero tremare la terra. 
A quell'epoca abitavamo al Vicolo Nicolò Cacciatore, quando, nella notte di quel terribile e freddoso mese di Gennaio, intorno all'una di notte, mentre dormivamo in sonno profondo, fummo svegliati dal tremore dei vetri e dal dondolio del letto che ci sbalzò subito a terra. C'era freddo e il cielo era nerissimo. Mia madre gridò, ma da ogni parte altre voci esclamavano "Aiuto! Il terremoto". 
Ci alzammo tutti dai letti e quando mio padre accese la luce, ai nostri occhi si presentarono lampadari che si muovevano, piatti rotti per terra, il frigorifero spostato nel centro della stanza, le ante degli armadi aperte... In strada si sentiva il vocìo e la confusione delle persone che spaventate lasciavano le case e in men che non si dica si diffuse la notizia che c'era stato un violento terremoto. Suonò il campanello di casa, era la nonna che gridava di scendere perchè poteva replicarsi una scossa più forte e fu così che quella notte mi vestii in fretta e furia e uscimmo tutti di casa: padre, madre e cinque figli, tutti piccoli.
Io che ero la più grande, avevo appena 8 anni. Mio padre ci mise tutti dietro la motoape e ci dirigemmo al giardino dei papaveri dell'Acquasanta dove lui teneva le mucche. Il nostro primo rifugio fu il campo sportivo. Le stanze degli spogliatoi erano piene di persone che abitavano nei dintorni dell'Acquasanta, chi aveva portato con se delle coperte e le metteva a terra e si sdraiava, chi invece aveva portato delle tende da campeggio e si accingeva a passare il resto della nottata all'aperto, in mezzo al campo di gioco Ognuno faceva il suo racconto e riportava ciò che aveva provato tra fenditure sui muri delle case e altro.  Mia madre era seduta sulla panca e qualcuno le offrì una coperta mentre allattava la piccola che ignara di ogni cosa piangeva per la fame e cercava il seno materno. Dopo pochi minuti un'altra scossa ci fece sussultare e tutti gridammo dalla paura. Fu un trauma per noi piccoli fanciulli ed io per la prima volta nella mia vita imparavo la parola “TERREMOTO“.
Avevamo sonno e mio padre ci portò dentro la stalla, ci fece adagiare nella paglia in uno stanzino dove teneva i vitellini appena nati. Per la prima volta dormimmo assieme alle mucche che con il loro fiato riscaldavano l'ambiente, mentre mamma seduta davanti la motoape, continuava ad allattare la sorellina neonata. Mio padre si coricò su un carretto che un fruttivendolo lasciava in giardino. E fu così che passammo quella notte del 15 gennaio 1968.
Verso le 5 del mattino ritornammo a casa, in giardino stavano per arrivare i contadini e mio padre doveva mungere le mucche. Ma con quale stato d'animo rientrammo in casa! Seguirono le scosse di assestamento e la più tremenda si sentì nel pomeriggio. Mia madre aveva paura e quel timore ce lo contagiava anche a noi figli. Quel giorno le scuole restarono chiuse e siccome miracolosamente nell'infanzia si dimentica tutto in fretta, giocammo in strada e anche fra noi ragazzini commentavamo il terremoto. Qualcuno diceva che si era fermato nel giardino vicino alla nostra scuola elementare Ignazio Marabitti, per poi riprendere il cammino in serata, come se fosse una persona.

Non sapevamo cosa fosse per davvero un terremoto, lo immaginavamo come un mostro gigantesco dall'aspetto spaventoso e deforme che camminava sotto la terra e faceva tremare le case. 
Di primo mattino iniziò il telegiornale straordinario, cosa insolita per quell'ora perchè veniva trasmesso solo alle ore 13,00 e dava la notizia che quel terribile mostro non aveva colpito solo Palermo ma paesi interi erano stati sdradicati e c' erano morti e feriti, persone sotto le macerie fra cui donne, vecchi e bambini e gente ferita senza più un tetto. La gente intervistata piangeva, molti avevano i loro cari sotto le macerie e i soccorsi stavano arrivando da tutta Italia. Le case sembravano giganteschi e sinistri scheletri. In molti paesi devastati come S.Ninfa, Gibellina e Poggioreale, mancavano la luce e l'acqua.
Ecco quello che vidi in televisione quel terribile gennaio 1968. La nostra povera Sicilia ancora una volta piangeva! E io imparai una seconda parola: MORTE. Quel pomeriggio passò lo strillone del giornale “L'Ora“ che dava la notizia del terremoto e anche mia madre comprò il giornale.
Io nel frattempo mi trovavo in Via Montalbo poiché mia madre mi aveva mandato in farmacia per comprare una pomatina per un problema alla pelle di mia sorella. Avevo 8 anni ma sembravo quasi una
vecchina, poichè ero la maggiore. Invitai una amichetta a venire con me per tenermi compagnia.
Quando ritornammo verso casa vedemmo un cane che abbaiava in continuazione ed era agitato, probabimente aveva previsto il terremoto con alcuni secondi di anticipo, cosa tipica dei cani.  Improvvisamente vedemmo gente che fuggivacome  che fosse scoppiata una guerra. Non capìi subito, ma c'era molta agitazione e la gente gridava. Poi qualcuno gridò : "C'è il terremoto!".

Ci guardammo in faccia e iniziammo a correre precipitosamente verso casa. Nella fuga la mia amica perse una scarpa e a me scivolò il tubetto di pomata dalle mani. Arrivammo al vicolo Cacciatore quasi senza fiato, e lì trovammo il caos. Una vicina di casa disse alla mia amichetta che la madre la cercava ,io nella confusione scorsi mia madre che mi prese per mano dicendo: ”Grazie a Dio sei ritornata, avevo paura per te“, ed io frastornata chiesi: ”Ma c'è stato di nuovo il terremoto?”
“Si “ rispose mia madre “ stavo leggendo il giornale sul terremoto quando il pavimento mi è oscillato sotto ai piedi“. Mi accorsi però che qualcuno della mia famiglia mancava e chiesi a mamma :”Ma dov'è la sorellina?” Lei lanciò un urlo: "Mi scurdavu a picciridda a casa!!". Il cervello di mia madre, per il panico, era andato in tilt. Io scoppiai a piangere e pensavo che la mia sorellina potesse morire come tutti quei bambini che avevo visto in televisione e che si trovavano sotto le macerie. Mamma ci lasciò in custodia con altri vicini di casa presso il giardino della scuola Marabitti e corse con tutta la disperazione che aveva in corpo, affrontando il pericolo. Io restai lì a piangere in mezzo alla confusione e a proteggere i miei fratellini più piccoli. Avevo paura che lei non tornasse più e mi sentivo sola e, anche se ero circondata da decine di famiglie, guardavo nella direzione da cui poteva tornare. Quando finalmente la vidi arrivare con la bimba avvolta nelle coperte il mio cuore esultò di contentezza: la mia sorellina era salva ! Il sole quel pomeriggio risplendette di più. Passammo altre notti fuori casa e ci furono altre piccole scosse di assestamento. Il nostro rifugio a quell'epoca fu il giardino dei papaveri che come una mamma generosa e amorevole ci ospitò e ci accolse.

Ecco cosa fece in quei giorni Poseidone che secondo la mitologia greca era il dio del mare e dei terremoti .Quando il dio emergeva dal mare, armato di un tridente costruito dai ciclopi per scatenare in un attimo maremoti e terremoti. In quel gennaio del 1968 Poseidone era così furioso e collerico che volle prendersela con la Sicilia... 

Poggioreale, un paese fantasma dopo il terremoto del'68
Prima pagina del L'Ora
Prima pagina de L'Unità


lunedì 23 dicembre 2013

BUON NATALE E BUON 2014!

Non trovavo modo migliore per augurare a tutti voi che leggete e seguite questo Blog. Le immagini di uno dei tanti presepi che per adesso sono esposti in giro per la città. Per l'esattezza è quello che si può visitare alla sala S.Barbara del chiostro di S.Domenico. 
Un enorme presepe realizzato da Matteo brandi. Andatelo a visitare. Buon Natale e buone feste a tutti! Arrivederci nel 2014...
















martedì 10 dicembre 2013

TRADIZIONI FESTIVE PANORMITE

Ringrazio Federico Ferlito che ha trovato questo divertente articolo sulle tradizioni festive nostrane...
Questa volta non parlerò delle solite storielle panormite, ma di Dicembre, mese di grande fervore devozionale per le feste religiose ma anche  pagàno per come viene da noi vissuto. Per il giorno "rà Maruonna", 8 dicembre, si aprono le danze ed i portafogli e già a Santa Lucia gli occhi cominciano a piangere per le prime perdite al tavolo verde! 
A Natale, per i cristiani palermitani, si respira un’aria tutta particolare. Ricordando i tempi passati, questa festa è contraddistinta da tre momenti : liturgico, ludico e alimentare. Le vie ed i mercati, o almeno quel che ne rimane, si vestono di luci e luminarie, si respira aria di festa e gli addobbi natalizi rivestono l’ arredamento del paesaggio cittadino. La cosa che anticamente più richiamava l’attenzione erano le botteghe di frutta (putìe) sia fresca che secca. A primeggiare erano gli agrumi con i loro colori, sia nostrali che tropicali. Il lungo periodo di festeggiamenti natalizi anticamente aveva inizio con la novena che si snocciolava per nove sere dal 29 novembre al 7del mese successivo, per proseguire poi dal 16 al 24 dicembre. Davanti al presepe, i più anziani e le donne della famiglia recitavano le novene. 
Alcune famiglie, le più agiate, ingaggiano per tali novene “u ciaramiddaru”, che bardato con costumi da pastore, stazionava davanti al presepe e suonava “i ninnareddi”, insomma un concertino da camera, piffero e zampogna. La loro esibizione, sempre dietro pagamento, avveniva pure nei vicoli addobbati a festa e si fermava davanti alle cappellette “parate” con fronde di “mortella” e arance. 
La cena era annaffiata continuamente dal vino, lo sfincione faceva da padrone, poi seguivano “carduna”, ”cacuocciuli”, ”vrucculiddi” sempre in “pastedda” fritti in olio buono. La tradizione continuava con “baccalaru frittu” e alla “ghiotta”, con salsa di pomodoro, capperi, uva sultanina, sedano e olive nere. 
Le famiglie un po’ più abbienti, reputando questo cibo povero, preferivano ingozzarsi inoltre col pesce, orientandosi verso il capitone. A corollario della libagione, si buttava giù “a petrafennula”, o il buccellato (ù cuccidatu), ciambella ripiena di fichi secchi, o "a cubbaita" di mandorle e miele cotto, con la  “giuggiulena” il nome dialettale del sesamo. 
Si poteva gustare “u sangunazzu”, sangue di maiale cotto ed addolcito, condito con uva passa e cioccolato coagulato in budello, una vera leccornia. Non si disprezzavano i “mustazzola”, durissimi dolcetti di zucchero, farina e miele, d’origine romana. Le nostre nonne preparavano le “sfince” ovvero frittelle condite con zucchero e miele, talvolta qualcuna ripiena per scherzo con cotone idrofilo (“mattula”). Dopo il dolce era d’obbligo un bicchierino di marsala o di rosolio fatto in casa. I giochi erano basati per coinvolgere la famiglia. Tutti potevano giocare “a tummula”, per vincere premi in denaro, ma era severamente vietata la “zicchinetta”, gioco reputato altamente azzardoso, quindi da goderselo in ambienti non familiari, evitando contese. Questo il periodo pre-natalizio. Del post parto ne parlerò nel 2014 perché dovrò smaltire gli abusi appena raccontati... 

lunedì 25 novembre 2013

LE VIE DEI TESORI: ORATORIO DEL CARMINELLO E CRIPTA

Continuiamo a ripercorrere insieme i luoghi che era possibile visitare nell'ambito della manifestazione "Le vie dei tesori". Un interessantissimo oratorio barocco è quello del Carminello, in via porta s.Agata, a pochi metri da corso Tukory e dal cuore del mercato di Ballarò, che ospita la chiesa del Carmine Maggiore. Il piccolo oratorio è stato fondato nel 1605 dai padri carmelitani e solo nel 1915 fu concesso alla confraternita di Maria SS. del Rosario. Trionfo di stucchi e puttini, l'oratorio del Carminello fu luogo in cui operò, all'inizio del'700, Procopio Serpotta, parente del grande Giacomo.
Le bianche sculture circondano e avvolgono l'intero complesso di questa chiesetta, gioiellino poco conosciuto del barocco palermitano. Molto interessante è, sull'altare, il quadro della Madonna del Carmelo, che tuttavia è copia ottocentesca di quella originale del'600.
La chiesa è aperta al culto, quindi visitabile di certo anche la domenica mattina.
Non sarà più visitabile però, la cripta che risiede nel suo sotterraneo. Aperta eccezionalmente al pubblico per la sopracitata manifestazione, la cripta (suddivisa in tre livelli) è stata riportata alla luce non tantissimo tempo fa. In essa vi sono tracce evidenti di resti umani appartenuti probabilmente ai frati carmelitani che lì venivano sepolti dopo il solito procedimento di essiccazione e colatura. Resti inquietanti in un'atmosfera sinistra ma affascinante, cosa comune a tutte le cripte esistenti, probabilmente. Peccato il non poterla più visitare a breve, forse anche per preservare lo stato della cripta al meglio. 
Ma questo, si sa, è un discorso meno macabro ma anche meno affascinante.
L'altare
Il contraltare
Elementi barocchi/1
Elementi barocchi/2
Elementi barocchi/3
Elementi barocchi/4
E ora si scende nella cripta
Splendide maioliche del'600 nella cripta
Tra nicchie e loculi
Resti evidenti di ossa umane in un loculo
Ingresso strettissimo all'ossario
Inquietanti resti nell'ossario