lunedì 30 gennaio 2012

PALERMO ILLUMINISTA... Più vizi che virtù [Parte 2]

[STORIE] Quando nella seconda metà del‘700 in Europa imperversava l’Illuminismo e nelle capitali si cominciava a parlare di rivoluzioni culturali, parità dell’essere umano, e si cominciava a legiferare bandendo editti a favore di una maggiore umanità nel trattamento degli schiavi, a Palermo, autodefinita capitale, tutto andava controcorrente : lo schiavo era lasciato all’arbitrio più totale del padrone.
Per i semidei panormiti, non era importante avere un numero esoso di servitù schiavizzata ma bastava averne anche una quantità limitata su cui avere un dominio totale. Se ne teneva un rigido censimento, infatti già nel 1565 se ne contavano 645, fra cui 118 bianchi, 115 olivastri e 223 negri provenienti dalla Nigeria, tutti di sesso maschile idonei alla difesa delle mura contro i possibili assalti del turco offensore. Pari era la quantità di schiave che si mischiavano con la servitù autoctona.
Per i nobili palermitani gli schiavi erano considerati alla stregua di bestie da essere utilizzati per soddisfare le voglie più fantastiche e perverse ! E non veniva considerato che fossero dei poveri disgraziati strappati alle loro case o fatti prigioni durante i conflitti marinari contro i pirati barbareschi.
Se Candia era il mercato degli schiavi per l’Oriente, Palermo era il fiorente mercato per l’Occidente del bacino Mediterraneo. Ma chi erano i clienti più interessati ? Facile a dirsi e definibili, secondo gli usi che si intendevano fare !
I Vicerè, a cui servivano braccia per i remi delle galere... Quindi le caratteristiche fenotipiche d’obbligo erano robustezza e forza... I nobili preferivano schiavette giovani e di primo pelo, che potessero essere utili a letto e per i servizi più convenzionali. In breve tempo a Palermo cominciarono, chissà perchè, a gironzolare giovanottini in livrea, mulatti...
Gli stessi semidei panormiti non esitavano ad acquistare anche bimbetti, poiché la casta non disdegnava la pedofilia...
Preti ed ecclesiastici in genere per le loro esigenze preferivano maschietti molto giovani, effeminati e bellocci. Li avrebbero sodomizzati a loro piacimento senza incorrere in scomode gravidanze. Ma dato che la sodomia riguardava piuttosto da vicino il clero, l’Inquisizione non poteva colpirla a morte. Ci pensò l’ingenuotto Argisto Giuffredi, stilando negli “Avvertimenti Cristiani”, i toccasana per la lotta contro la pedofilia e la sodomia : “Ricordatevi di non tenere mai in casa giovani di migliore aspetto di voi, né tenete mai paggi di bella vista, né avendo paggi o schiavotti gli fate dormir mai con altri servitori, ma separati sempre, e ciò per levar ogni occasione non solo di mal fare, ma di mal pensare ancora”.
Ma valli a capire questi nostri antenati : si sentivano illuminati, ma facevano porcherie da bestiole...
E dopo aver gustato qualcosa sulle stramberie sessuali dei nostri antenati panormiti, non ci dobbiamo dimenticare di altro a cui non sapevano rinunziare... Fermo restando il concetto che il ceto patrizio palermitano fosse convinto di appartenere alla classe dei semidei, e che coloro i quali orbitavano loro intorno, fossero soltanto dei piccoli satiri, la casta coltivò il vizietto del lusso da quando Palermo divenne sede vicereale.
I nobili, volendo competere con la corte, si trasferirono dal feudo alla città, acquisendo la proprietà polverizzata ed edificando magnifici dimore, austere nelle loro facciate quanto splendide all’interno, con scalinate avvolgenti, saloni ridondanti di quadri, stupende tappezzerie e preziosi lampadari. Ma quanto costarono questi capricci ?? Tanto, tantissimo !!!!
I nostri nobili antenati non si indebitarono soltanto per edificare le casette cittadine, ma anche per la realizzazione di bagli, casene e ville nella Piana dei Colli ed a Bagheria, chiaramente ben fornite di tutti i comfort dell’epoca, dalle camere dello scirocco ai bagni turchi, e magari fornite da celle in cava dedicate ai servi riottosi.
Le grandi magioni, espressione spudorata di lusso da ostentare, avevano anche funzione di teatro a cui poteva accedere il popolano, ma solo in zone ben delimitate negli atri, sugli scaloni e negli spazi pubblici di fronte gli edifici. Proprio lì nelle ricorrenze private, matrimoni, fidanzamenti e battesimi, il signore faceva allestire gazebi, chioschetti e tavolate piene di ogni grazia di Dio, per soddisfare il palato del volgo e ma anche l’insaziabile voglia di ostentare la propria magnificenza.
Lo stesso trattamento veniva riservato alle ricorrenze ufficiali, per la nascita di un erede reale, nei periodi carnevaleschi o pasquali, quando il semidio e famiglia assieme agli ospiti lanciavano dai panciuti balconi dolcetti e confetture sulla plebe affamata, godendo delle risse e delle resse fra poveracci dei piani bassi... Tali lussi comportavano sforzi economici che portavano all’indebitamento più profondo. Per rispettare lo stile di vita in cui si erano impelagate, le più illustri famiglie dovevano mantenere almeno 80 persone nelle magioni cittadine, fra cui servi, creati e schiavi, non considerando il nugolo di massari, campieri, gabellieri ed amministratori sparsi nei propri feudi.
I nobili palermitani restarono comunque dei maldestri feudatari con poche iniziative di sopravvivenza, e difficilmente si “addobbarono” per fare cassa. Alcuni di loro si dedicarono a un nuovo ma vecchio mestiere, inventandosi pirati .
Tutto andò a gonfie vele nel 1778 per il principe di Furnari, che acquistò uno scampavia di seconda mano, il “Gesù, Giuseppe e Maria”, lo armò, dandolo in gestione ad un pirata di professione, tale Giuseppe Valentino che, con le sue scorrerie garantì al suo datore di lavoro altre ricchezze da scialacquare !!!
Ma un altro nostro nobile concittadino, il principe della Garita, prese alla lettera le sue origini guerresche e volendo strafare, non affidandosi alle mani di un pirata esperto, ne vestì personalmente i panni mettendosi al comando di una goletta e veleggiando da se. Garita non fu tanto fortunato quanto il Furnari, infatti al primo arrembaggio fu fatto prigioniero dal turco col quale fu costretto a mercanteggiare la propria libertà, coivolgendo quale garante del pagamento lo stesso sovrano Borbone... Ciò fu cagione di ulteriore sfortuna per il povero principe, che non avrebbe voluto ottemperare alla parola data al pascià turco, ma sua maestà lo obbligò ad onorare il debito, costringendolo ad ipotecare i propri beni con la minaccia di uno sconveniente soggiorno coattivo presso il Castello a Mare...
Quindi tutto si concluse in “malo modo” per il coronato semidio, sentendosi risuonare nelle proprie orecchie il più celebre ritornello palermitano : “Curnutu e vastunatu !!!!!”

Via Alloro vista dalle Mura delle Cattive

mercoledì 25 gennaio 2012

GIOVANNA BONANNO... Dall'aceto al patibolo

[PERSONAGGI] 30 Luglio 1789 : Un corteo muove lentamente per le strade di Palermo, tra due ali di folla rumoreggianti... E' diretto verso piazza Vigliena, ai cosiddetti "Quattro Canti", dove al centro esatto troneggia un grande patibolo, mentre il boia è in attesa della sua vittima.
C’è gente in attesa da ore, mentre un gruppo di cavalieri con cappucci bianchi fiancheggia la carretta con la condannata. La donna arriva ai piedi del patibolo, e viene fatta scendere dal carro. Sale lentamente gli scalini che la devono portare davanti al cappio che penzola lugubremente e guarda verso il boia. Il suo nome è Giovanna Bonanno, ha più di ottant’anni, anche se nessuno sa quando è nata, e forse Bonanno non è nemmeno il suo cognome. Ma tutti la conoscono come mamma Anna, soprattutto nel popolare quartiere della Zisa, dove sopravvive preparando filtri e pozioni d’amore... Ma non è per quel motivo che è finita ai piedi del patibolo, con una smorfia di rabbia, forse di terrore, sul volto rugoso : mamma Anna è un’avvelenatrice...
Era nata agli inizi del secolo in una città dai forti contrasti : ricchezza e povertà, gente letterata e poveri analfabeti, palazzi lussuosi e gente con il tetto fatto da un cielo di stelle. Lei era una poveraccia, come la stragrande maggioranza dei palermitani. Ma non era un’ignorante, tutt’altro... Aveva letto dei libri, che le aveva dato la nonna, e li aveva letti avidamente, imparando, tra l’altro, come ingannare quella gente sciocca e superstiziosa che la circondava.
Così, per lunghissimi anni, andò avanti campando alla meno peggio, fornendo intrugli e pozioni per catturare il cuore dell’amato o dell’amata, fornendo improbabili filtri per risvegliare la virilità o per cancellare il malocchio. Quando ormai era molto anziana, un giorno, casualmente, fece una scoperta che le avrebbe cambiato la vita. Una bambina aveva ingerito, per sbaglio, una sostanza che le aveva provocato atroci dolori e spasmi quasi mortali. Anna chiese alla mamma della bambina cosa avesse ingerito, e la donna le mostrò un liquido che serviva per combattere i pidocchi.
Si recò quindi dal droghiere che aveva fornito il medicinale, e ne comprò una dose, facendosi abilmente spiegare la composizione. Apprese così che l’intruglio era composto da aceto e arsenico. Lo sperimentò su un cane randagio, e rimase stupefatta dal risultato : la povera bestia era morta in pochi minuti fra terribili spasmi.
Arrivò quindi il fatidico giorno della prova del fuoco, quella su un essere umano, e l’occasione si presentò quando si recò da lei Angelina, una donna delusa da suo marito, che voleva sbarazzarsi del coniuge per impalmare il suo amante... La Bonanno le dette un’ampolla contenente uno strano liquido e le consigliò di versarne qualche goccia nell’insalata che l’uomo mangiava con regolarità.
Quel giorno stesso, l'uomo morì improvvisamente...
Da quel momento una inspiegabile catena di morti si abbattè sul quartiere, mentre Anna diventava temuta e riverita. I suoi affari sembravano andare per il meglio, ma un giorno tutto saltò per puro caso...
La complice della vecchia, un’altra megera di nome Maria Pitarra, acquistò da lei una delle pozioni mortali... Anna, senza chiedere a chi fosse destinato il veleno, lo fornì.
Ma questa volta il destinatario era il figlio di una sua amica, di cognome Costanzo...
Anna tentò di mettere in guardia la donna, che scoprì, a questo punto, che chi aveva tramato l’intrigo altri non era che la nuora. La donna finse così di voler ricambiare l’infida nuora con la stessa moneta e commissionò alla Bonanno una dose del mortale veleno...
Il giorno della consegna del veleno, la Costanzo si presentò con quattro testimoni, e da quel momento la carriera dell’avvelenatrice terminò bruscamente.
Ai primi di ottobre del 1788 inizia l’inchiesta giudiziaria della regia corte capitanale di Palermo. La denuncia della Costanzo era stata molto precisa, e conteneva un’accusa molto grave : Stregoneria !
Anna venne condotta nella stanza degli interrogatori, dove, spogliata dai suoi indumenti e rivestita con una tonaca bianca e rasata a zero, venne sottoposta alla terribile tortura della corda, che era la più semplice di quelle inflitte ai sospetti, e quindi più praticate. L’interrogato veniva legato ad una trave, dalla quale pendeva una corda. La vittima veniva lasciata cadere coi polsi legati dietro la schiena, da una certa altezza, producendole slogature alle braccia e alle spalle. La Bonanno cedette immediatamente e confessò. La corte, così, potè convocare i pochi sopravissuti alla terribile vecchia, oltre a convocare il droghiere che aveva fornito la micidiale mistura ad Anna.Le testimonianze non lasciarono adito ad alcun dubbio, e la corte emise un giudizio di condanna a morte.
Torniamo quindi all’inizio della storia e riprendiamo dal momento in cui Anna è davanti al suo carnefice... La donna sale sullo sgabello e infila la testa nel cappio, mentre il boia si appresta a far cadere lo sgabello.
Un attimo dopo è tutto finito, e il corpo di Anna dondola sul patibolo, mentre la chiesa della piazza inizia a scandire con il suono lugubre delle campane, i secondi successivi.
Tra la folla qualcuno inizia a sentirsi male, altri, in un’inspiegabile attacco di paura ancestrale, si gettano per terra, altri ancora salgono sul patibolo e strappano lembi della tonaca della donna. Il corpo viene profanato, le vengono strappati di bocca i denti, le unghie dalle dita... Un attacco di feticismo barbaro forsennato e inspiegabile...
Della Bonanno si racconterà ben presto la storia, ammantandola di leggendarie quanto inverosimili invenzioni. Sarà lo scrittore palermitano Luigi Natoli, con suo romanzo, a renderla in un certo qual modo immortale...
Diventerà, ben presto, lo spauracchio di tanti bambini dell'800, quando i genitori, per spaventarli, diranno loro che là fuori, nascosta, c’è la vecchia dell’aceto pronta ad ucciderli...

Questo post, che dedico ad Angela e Aurora, appassionate lettrici dei libri di Luigi Natoli, è stato da me trovato in una rassegna stampa su fatti di Palermo del'700, e riportato per intero...
Giovanna Bonanno ovvero la "vecchia dell'aceto"

lunedì 23 gennaio 2012

UNA DOMENICA MATTINA TRA ESOTERISMO,STREGHE E INQUISIZIONE


Si è svolta il 22 Gennaio la seconda passeggiata storica del gruppo Facebook che fa riferimento a questo Blog, "Palermo tra esoterismo, Streghe e Inquisizione", ed interamente dedicata alla memoria di Mario Algozzino... Il percorso, iniziato dalla chiesa di S.Cataldo, a Piazza Bellini, si è poi indirizzato nelle varie tappe previste... Dalla descrizione della figura emblematica del Conte Cagliostro (al vicolo che porta il suo nome), a Palazzo Marchesi, che fu prigione della Santa Inquisizione nel'500, ed ospitò anche Cagliostro per un breve periodo (ma come carcere giudiziario).
Vicolo Conte Cagliostro-1
Vicolo Conte Cagliostro - 2
Davanti a Palazzo Marchesi
Cagliostro (ovvero Giuseppe Balsamo) sfruttò le poche conoscenze esoteriche, o di medicina, per accattivarsi l'amicizia di tanti potenti nelle varie corti europee, dove fu sia benvoluto che malvisto (a Parigi rischiò la testa per il suo coinvolgimento nel cosiddetto "intrigo della collana", nei mesi che precedettero la rivoluzione francese).
Ai Quattro Canti si è parlato delle esecuzioni capitali che lì avvenivano, col racconto di una delle più famose, quella di Giovanna Bonanno, conosciuta come la "Vecchia dell'aceto"...
Il gruppo ai Quattro Canti
Tra aneddoti e racconti vari di come avvenivano le cose a Palermo in tempi di Inquisizione, il gruppo ha percorso tutta la via Alloro, giungendo all'Oratorio dei Bianchi, luogo di "conforto" (si fa per dire) per i giustiziati che venivano affidati a questa compagnia di nobili, 3 giorni prima dell'esecuzione. 

Piazzetta dei Bianchi - Oratorio dei Bianchi (a sin)
Al Foro Italico, dopo aver attraversato la Kalsa, si è parlato di uno dei più famosi e drammatici momenti della storia dell'Inquisizione : il rogo di frà Romualdo e suor Gertrude, e la descrizione del macabro rituale dell'Autodafè, avvenuto nel 1724 (vedi anche post : "Fuochi a S.Erasmo...").

Al Foro Italico presso Porta dei Greci

La passeggiata si è poi indirizzata a piazza Marina, luogo di feste ed esecuzioni capitali, nonchè sede del Palazzo Steri, che nel'600 ed oltre ospitò il terribile tribunale dell'Inquisizione, e le relative carceri, dove si svolgevano le più inumane torture fatte a presunti eretici o presunte streghe. La descrizione di alcune delle tecniche di tortura ha causato di certo qualche turbamento, e ha fatto capire fino a dove si è spinta la mente dell'uomo per compiere certe nefandezze (in paragone i nazisti furono più "delicati")...
La conclusione del percorso è stata affidata al racconto di un'altra famosa condanna del'600, quella dell'avvelenatrice Francesca La Sarda, avvenuta davanti al vicolo Palagonia all'Alloro, sempre a Piazza Marina (vedi anche post : "L'esecuzione di una avvelenatrice")

Dentro villa Garibaldi a Piazza Marina
Era un secondo esperimento e credo siano tutti soddisfatti (gli organizzatori in primis) di come sono andate le cose. Lo spirito era quello giusto, l'argomento a tinte abbastanza "forti", ma efficaci...
Era importante parlarne per capire cosa ci fosse nella realtà dietro ad un fenomeno politico-religioso come l'Inquisizione, ed i retroscena macabri erano solo una minima parte di tutto ciò che in effetti fu...
Ringrazio tutti i presenti alla passeggiata (più numerosi della volta scorsa), per la partecipazione e l'attenzione con cui hanno seguito l'intero itinerario... 
GRAZIE !
Foto di gruppo a fine percorso
 (PS. Ringrazio Nora Scotto per alcune fotografie del percorso)

domenica 15 gennaio 2012

QUANDO LE RACCOMANDAZIONI SI RITORCONO CONTRO...

[ANEDDOTI] Da che mondo è mondo, le raccomandazioni ci sono sempre state... Non sempre, però sono andate a bersaglio, cosa tutto sommato positiva, a seconda delle situazioni. Fu l'illustrissimo marchese Forcella a dover pregare l'allora Arcivescovo di Palermo, Ferdinando Maria Pignatelli, di intercedere per un favore. 
Ma facciamo un passo indietro... Intorno al 1840 il marchese Forcella, proprietario dell'omonimo palazzo al Foro Italico (quello su Porta dei Greci), decise di ampliare il terreno circostante alla sua costruzione, che in pratica occuperebbe una vasta area che va più o meno dalla Villa Giulia, fin quasi a Porta Felice. Ma la parte del terreno che si estende verso Porta Felice è stato già acquistato per una cifra ragguardevole dalle monache del Monastero di S.Teresa, che ne hanno fatto, essendo, il loro, un istituto di clausura, un giardino-belvedere, unico luogo di svago. Se il terreno fosse stato ceduto al marchese, avrebbero perso quest'unico "sbocco" all'aria aperta, fonte di divertimento esterno... Il marchese, quindi, vide la sua proposta di acquisto cortesemente e ripetutamente rifiutata dal monastero. Stizzito e avvilito, decise, qualche tempo dopo, di chiedere l'intervento dell'Arcivescovo Pignatelli, per "raccomandare" la vendita del terreno. 
L'ecclesiastico promise con certezza assoluta che la vendita del terreno al nobile amico sarebbe stata di facile riuscita...
Ma non aveva fatto i conti col carattere tenace e battagliero delle suore... Infatti dopo una visita ufficiale al monastero, radunò le sorelle dicendo che era meglio che il giardino fosse venduto, promettendo in cambio benefici per il monastero, ma ottenendo dalla rigida madre superiore un secco "No, grazie..."
Dopo vani e ripetuti appelli al buon senso delle suore, l'Arcivescovo perse letteralmente le staffe e minacciò di non fare entrare più novizie nell'istituto fino alla sua morte, al che una giovane e sfrontata suora gli rispose per le rime :"E allora non dovremo che aspettare poco tempo per avere nuove sorelle nel monastero !" Profetizzando, in tal modo, una vita brevissima all'arcivescovo...
A quel punto fu caos... Dimenticandosi dell'autorevole carica ecclesiastica che ricopriva, il Pignatelli si scagliò sulla giovane suora per suonargliele di brutto, ma la suora, a quanto pare, reagì senza timori reverenziali, e i due, nonostante l'intervento di tante persone, restarono avvinghiati tra, pugni, schiaffi, graffi e morsi, per qualche istante... Un pò malconcio e con la sacra veste tutta spiegazzata, il furente prelato ordinò al suo seguito di lasciare il monastero, ammettendo così la sconfitta sul campo... Ma alla beffa seguì pure un notevole "danno" : infatti nell'uscire dal convento, schiumante di rabbia ed imprecando contro quelle "dannate monache",  l'Arcivescovo inciampò su un gradino della scaletta della propria carrozza, e ruzzolò per terra, fratturandosi pure una gamba... Della serie : "cornuto e mazziato"... 
Per la cronaca, nonostante altri tentativi, le suore mantennero fieramente la proprietà del terreno, che nel 1866 fu poi acquisito dal municipio nell'ambito della soppressione degli istituti religiosi. L'Arcivescovo, invece, fu costretto a usare un bastone per il resto dei suoi giorni, a perenne memoria di una raccomandazione mancata...

Palazzo Forcella-De Seta

martedì 10 gennaio 2012

L'UOMO DAI POTERI MAGICI

[MISTERI] Questa storia si svolge tra i vicoli della Palermo post-unitaria, una Palermo ancora disorientata dal passaggio traumatico e repentino dai Borbone ai Savoia. Siamo intorno al 1870, e Vito abita tra via Ambra e piazza S.Andrea, a due passi dalla Vucciria, a pochi metri da piazza S.Domenico. Ha una bella famiglia, lavora al Cantiere Navale, è persona rispettata e stimata per il suo comportamento onesto e altruista, tant'è che viene sempre indicato come un "bravo cristiano", in quanto pronto ad accorrere in aiuto di chi ha bisogno.
Ma il suo aiuto è particolare, in quanto Vito è dotato, come è testimoniato da chi lo conobbe, di poteri al di fuori del comune. Poteri magici, irreali, irrazionali. Vive ai confini del paranormale. Gli basta uno sguardo per capire se un malato ha possibilità di sopravvivere o è spacciato. Non è un guaritore, ma quando viene interpellato da chi gli chiede aiuto o consiglio, spiazza gli stessi medici anticipando le diagnosi... Spesso si rivolge ai suoi interlocutori con frasi all'apparenza senza senso, ma che devono essere ben interpretate. C'è chi capisce e chi meno, ma il suo modo di fare ha spesso salvato famiglie dalla povertà, come quando gli vengono chiesti dei numeri da giocare al lotto... Lui non indica uno dei 90 numeri in gioco, non ne ha mai nominato uno... Si limita a fissare negli occhi colui che gli sta davanti e dice semplicemente "Il gatto bianco sotto il tavolo", oppure "Il vecchio che beve vino rosso", o altre frasi ancora, prive di significato... Allora bisogna correre a consultare la "smorfia" e nel 99 % dei casi, Vito ci azzecca... La notte spesso esce, da solo, e cammina, non si sa bene dove vada o per quale motivo... 
Più di un testimone rabbrividiva a ricordare di averlo visto passeggiare non sulle sue gambe, ma al contrario, cioè a testa sotto e piedi in aria... Visionari ? Gente uscita da qualche taverna? Forse, ma di certo Vito, soprannominato da un certo momento in poi, il "Mago", qualcosa di strano e misterioso lo cela... Ma è benvoluto, perchè fa del bene, proprio per i motivi già citati, e nessuno osa dirgli qualcosa in proposito, perchè sta sempre ad ascoltare tutti e non si tira mai indietro quando gli viene chiesta qualcosa. 
Corre voce che Vito faccia parte di qualche setta segreta, o sia reincarnazione di qualche entità miracolosa del passato... Forse qualcosa di vero c'è, anche a giudizio di chi mi ha raccontato questa storia. 
Vito partecipa a sedute spiritiche, parla coi morti, a volte riesce persino a leggere nel pensiero delle persone, o riesce a predire una cosa che accadrà il giorno dopo, ma lo fa sempre a modo suo, magico e misterioso, ripetendo frasi sibilline, che al momento non tutti afferrano, solo per poi rendersene conto quando una cosa è in effetti accaduta come Vito aveva previsto, sebbene in modo criptato e sibillino... Ma in famiglia è una persona semplice, è buon marito ed ottimo padre, nonchè tenace e instancabile lavoratore. La moglie non sa cosa faccia Vito al di fuori delle mura domestiche, o dove vada la notte, lo asseconda e basta, anche perchè è consapevole che il marito, in fondo, non ha mai fatto del male a nessuno e non ha nemici, se non magari qualche malalingua di cortile che ritiene sia solo un matto...
Un giorno, sul finire dell'800, Vito, anziano e malato, non riesce più ad alzarsi dal letto della sua casetta in via Ambra, perchè un male lo sta divorando piano piano. Una mattina d'inverno arrivano, non chiamati da nessuno, due individui, sbucati da chissà dove, con lo sguardo gelido e impenetrante. Chiedono all'anziana moglie di Vito di poter vedere il "Mago". La donna, un pò impaurita, li fa entrare. Quando sono al capezzale di Vito, questi sembra riconoscerli, ma non dice nulla, il suo sguardo rivela però emozione... Si fissano per istanti interminabili, poi uno dei due gli chiede "Sei pronto ?" Vito fa cenno di si... Allora gli denudano un braccio, gli legano un nastro nero poco sopra il gomito, e vanno via senza dire nulla... La moglie in un gesto di familiare cortesia, li accompagna all'uscio, perplessa per la strana visita... Quando rientra, Vito ha già iniziato un viaggio senza ritorno... La donna corre al balcone per vedere se i due individui sono ancora lì in giro e provare a richiamarli, ma incredibilmente, nessuno li ha mai visti entrare, nè uscire... Nella stradina semideserta, i vicini di casa affermano che non passava nessuno da ore...
(PS. Ringrazio la signora Francesca, di cui Vito è un antenato, che mi ha raccontato questa storia incredibile)
Vecchio cortile presso piazza S.Andrea

venerdì 6 gennaio 2012

ARTISTI PALERMITANI D'OGGI * FILIPPO LETO *

Presso il mercato di Ballarò al civico 15/A di via delle Pergole (entrandoci da via Maqueda è a pochi mt. sulla destra), l'artista Filippo Leto, espone le sue opere nella bottega d'arte dal nome "La Città Ritrovata". Sculture e oggetti d'arte creati con maestrìa che prendono vita su argilla, bronzo e gesso. I temi rappresentati da Filippo inneggiano alla complessità dell'animo, alla frenesia del mondo che dimentica i valori del vivere... 
Riproduzioni di manufatti in terracotta, alla maniera degli "stazzunari" (antichi abitanti della zona che lavoravano l'argilla), rilievi dedicati ai monumenti di Palermo, collezioni di presepi e miniature di storici carri di S.Rosalia, nonchè di processioni del Venerdì Santo... E' quanto si può ammirare nella sua bottega, dove, se volete, Filippo vi accoglierà per mostrare le sue opere. Inoltre nel suo laboratorio si eseguono restauri scultorei, di cartapeste e gessi. Io ci sono sono stato e devo dire che entrando già si respira un'aria di antiche botteghe artigiane ed artistiche d'altri tempi. I volti delle sculture di Filippo ti circondano, ti osservano, ti interrogano. E' una atmosfera affascinante che merita di essere gustata...

Filippo Leto al lavoro nel suo laboratorio
Maestro di scultura (organizza anche corsi), Filippo Leto si definisce soprattutto un artista eclettico, toccando tanti stili. Ha profonda ammirazione per Giacomo Serpotta, che per lui è fonte di continua ispirazione, e del quale mostra orgoglioso una scultura da lui realizzata.
E' un innamorato dell'arte e dalla genialità della stessa, rivelando il suo pensiero in proposito : "Non è facile fare arte, ma non è nemmeno necessario essere colti per essere un artista o avvicinarsi all'arte, perchè è dentro tutti noi". Profondo e appassionato conoscitore di tanti monumenti della nostra città, noti e meno noti, Filippo definisce il suo rapporto con Palermo di "odio/amore", ma con l'amore che alla fine prevale, come testimoniano le sue opere. 
La sua definizione di una "Palermo Nascosta" : "Palermo è nascosta ai palermitani stessi... Ma il concetto si deve ricercare all'interno di Palermo stessa..." 
Sosteniamo quindi questo altro artista nostrano, di cui possiamo ammirare di seguito alcune opere...







lunedì 2 gennaio 2012

PALERMO ILLUMINISTA... Più vizi che virtù

[STORIE] Federico ha trovato questo articolo in cui si parla di come andavano le cose un tempo, riguardo a una certa questione...
Viaggiatori stranieri curiosi di conoscere da vicino quegli strani panormiti settecenteschi, tanto decantati nel periodo illuministico, scoprirono con sorpresa che erano abitanti di una citta' godereccia, forse la piu' dissoluta in Europa. Il tutto avveniva pero' secondo lo stile tipicamente siculo svolgendosi sotto l'aureola del perbenismo e seguendo rigide regole !
Se tutto procedeva in modo celato non succedeva nulla, pero' bastavano delle impalpabili chiacchere o maldicenze, anche velate, e poteva succedere un vero pandemonio. Duelli, non proprio all'ultimo sangue, ma con qualche debole stoccata di spiedo, nel firriato di Villafranca...
Ormai Palermo era una capitale illuminata e seguiva alla lettera i dettami parigini, almeno per la classe patrizia. Alla nobile signora era concesso il cicisbeo, che si sarebbe dovuto limitare nel servire da dama ed accompagnarla nelle visite.
Ma il servizio era ben piu' completo, sia avvenendo nelle splendide magioni dei nobili mariti cornuti o in modo piu' discreto, nottetempo, presso le Mura delle Cattive, proprio dove noi generalmente andiamo a goderci un buon gelato...
Alla nobile signora era concessa la liberta' di andare al concerto presso il Teatro Santa Lucia, che di solito non iniziava prima della mezzanotte… Ella si faceva accompagnare dal proprio fido cocchiere fino a Porta Felice, metteva la mascherina per rendersi anonima, ordinava lo spegnimento delle torcie dei fanali, e si dileguava appiedata oltre le mura fino alla anonima carrozza dell'amante, dove dava sfogo alle proprie voglie sessuali clandestine bastevolmente da potersi poi godere in piena e soddisfatta serenita' il concerto di zufolo e clavicembalo assieme al cicisbeo preferito !!!
Le nubili facevano “conoscenza precoce dei piaceri mondani”, avevano “agio di profittare di molti godimenti”, conducevano insomma, una vita “libera, piacevole e leggiadra”…
In sostanza assaggiavano regolarmente il maschio prima del matrimonio. I passi falsi erano perdonati : moralismi e teorie sul peccato valevano soltanto per la gentuzza, non per le figlie dei nobili. Le giovani pulzelle spulzellate, erano bene preparate dalle loro madri “gia' abbondantemente esperte” e da amichette fidate che provvedevano all'addestramento formale sulla discrezione e sulla cautela.Tanto a quei tempi nessuno al matrimonio le pretendeva vergini. Sui pericoli di eventuali gravidanze vigilavano a tempo pieno nutrici, serve e mammane.
La liberta' sessuale, a Palermo, era comunque un privilegio aristocratico. Non fu né allora né mai un mezzo per mettere in discussione principi morali, sociali e politici.
Per il popolino valevano regole ben diverse di moralità e rigore...
In conclusione, Palermo sarebbe stata una fonte inesauribile per l'Onorevole Cetto Laqualunque se fosse vissuto in quegli illuminati tempi dove era disponibile “..... pi tutti !!”
Mura delle "Cattive"